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Thriller 40 e la storia di come Michael Jackson divenne il Re del Pop

Il documentario sulla storia dell’album più venduto di tutti i tempi, è disponibile in streaming su Paramount+



Fonte: wired.it


“I'm gonna make a change for once in my life”. “Farò un cambiamento per una volta nella mia vita”, cantava Michael Jackson in Man In The Mirror, anche se quello era un altro disco. Qui parliamo dell’album che ha cambiato tutto. Perché sono esistite due epoche musicali: prima di Thriller e dopo Thriller. È la verità, una di quelle verità inconfutabili, e sono le prime parole che ascoltiamo all’inizio Thriller 40, il documentario sulla storia dell’album più venduto di tutti i tempi, disponibile in streaming su Paramount+ e in onda su MTV il 2 dicembre, proprio il giorno in cui, 40 anni fa, lo storico video di Thriller fu lanciato su quell’emittente, per fare il giro del mondo. Thriller 40 è un documentario breve e veloce (circa 80 minuti) ma che riesce a dire tutto su un momento che ha fatto la storia della musica, e probabilmente anche qualcosa di più, qualcosa che non sapevamo, che avevamo dimenticato, o di cui non ci eravamo resi completamente conto. Thriller era una miscela di pop, r’n’b, funk, rock, gospel, soul. La cronaca di un successo annunciato. Eppure non è stato così facile per Michael Jackson diventare il Re del Pop.





Sì, perché prima di registrare Thriller, la carriera di Michael Jackson era ad un punto di stallo. La carriera dei Jackson 5, la band in cui Michael, ancora bambino, aveva esordito insieme ai suoi fratelli, era data per spacciata, legata com’era a un mondo che si considerava già passato. Michael aveva esordito da solista, con Off The Wall, ottimo album che però aveva vinto “solo” un Grammy Award, quello per il miglior disco r’n’b. Il problema, essenzialmente, era questo: Michael Jackson, allora, veniva visto solo come un artista nell’ambito della musica nera, e in qualche modo questo lo limitava. Michael Jackson voleva che il suo disco diventasse il miglior album pop, il miglior album in assoluto. Tutti gli sforzi per realizzare Thriller furono fatti per arrivare a questo, a diventare il numero 1 nel mondo. Michael Jackson ci sarebbe riuscito.


Thriller doveva diventare questo: il miglior album pop di tutti i tempi. E per fare questo, Jacko aveva un asso nella manica, un colpo a sorpresa. Forse in tanti non ricordano che il primo singolo tratto da quell’album capolavoro fu The Girl Is Mine, strepitosa pop song realizzata insieme a qualcuno che di pop se ne intendeva, un certo Paul McCartney. I due avevano già lavorato insieme (Say Say Say era stata un successo) e quella canzone sembrava perfetta per l’ex Beatle. Sembra proprio una canzone di McCartney, ma la scrisse Michael Jackson, a quanto pare dopo un sogno. E così Michael Jackson smise di essere solo il miglior artista r’n’b e cominciò a scalare le classifiche pop.


Thriller è anche l’album di Billie Jean, e del suo famoso video, quello con le piastrelle che si illuminavano al passaggio di Michael Jackson. E quello in cui, per la prima volta, il Re del Pop mostrò al mondo il suo celebre passo, il moonwalk, quello che sembrava farlo scivolare sul pavimento senza quasi toccarlo. Per molti, il video di Billie Jean fu un’epifania. Eppure si tratta di una canzone affatto scontata, che ha “un suono più ruvido e grezzo di quello che sembra”, come riflette il produttore Mark Ronson. Una canzone che inizia con un giro di basso inconfondibile che detta subito la linea del pezzo. E che vede Jackson cantare in modo arrabbiato una storia intrigante e ambigua in cui parla di una ragazza e dice che “il figlio non è mio”. Fu un successo clamoroso. Eppure, sembra incredibile, proprio MTV si rifiutò di mandare in onda quel video: l’emittente disse che si rivolgeva ai teenager bianchi. No, Michael Jackson non era ancora uscito dalla definizione di artista black, ma questa dichiarazione sapeva di razzismo. E così il discografico di Michael Jackson, Walter Yetnikoff, passò all’azione. Minacciò di non concedere a MTV Billy Joel e altri artisti, e così MTV cedette. Thriller è un evento che ha cambiato le dinamiche culturali del tempo.




Ma per sfondare gli steccati tra i vari generi musicali serviva ancora qualcosa, una canzone che gli facesse ancora prendere le distanze dalla dance e dalla disco di Off The Wall. Ed era Beat It, una canzone che fondeva il funk e la musica nera con il rock, che si basava sulla chitarra e il basso di Steve Lukather, dei Toto. A cui si aggiunse un’altra chitarra in grado di conquistare quei giovani ragazzi bianchi che Jackson voleva raggiungere, quella di Eddie Van Halen, che firmò l’assolo. Michael Jackson ci faceva ancora ballare, ma in modo diverso. E, nel famoso video della canzone, portava un’altra cosa a cui era molto legato, quella cultura di strada, quei ragazzi delle bande, che appaiono davvero nel video accanto a ballerini professionisti. È un modo di ballare, quello di Michael Jackson, con cui tutti, nel pop, hanno avuto a che fare: da M.C. Hammer ad Usher, da Justin Timberlake ai BTS e gran parte del K-Pop, il pop coreano.


Ma Thriller 40 ci fa notare una di quelle cose che abbiamo sempre notato, in fondo, ma su cui non avevamo mai riflettuto chiaramente. È quel senso ritmico del modo di cantare di Michael Jackson. Ascoltate attentamente il modo in cui porge le parole e quei suoni e versi con cui, in qualche modo, canta le parti di batteria e di basso. Chi lavorava con lui le chiamava le “batterie vocali”, un po’ come certe human beatbox, ma in modo diverso, personale, più melodico. È anche questo, e non solo i suoi urli, i suoi acuti, il suo timbro, che rendono unico il modo di cantare di Michael Jackson.


E poi c’è Thriller, intesa come la canzone, che sentiamo nascere sin dai primi battiti di batteria e di basso che compongono l’inconfondibile base ritmica della canzone (che inizialmente si chiamava Starlight) fino a quelle tastiere con un suono da film horror che caratterizzeranno per sempre quella canzone. A cui è abbinato il video più famoso della storia del rock. Vedendolo oggi chiunque potrebbe pensare che fosse stato scelto come singolo e video di lancio per l’album. Invece arrivò solo dopo un anno, dopo che l’album aveva venduto tantissimo e la casa discografica non era interessata a spingerlo. Ma Michael Jackson credeva che quell’album avesse ancora potenziale, e che ce l’avesse quella canzone, così cinematografica da meritare un video di livello. Jacko aveva visto e amato Un lupo mannaro americano a Londra, e così volle proprio quel regista, John Landis, a dirigere il video di Thriller, un video dal budget altissimo, ma che, vendendo il making of alle tv, e poi la videocassetta, poteva essere recuperato. Michael Jackson aveva ancora un’immagine poco sexy verso il pubblico e così si decise di inserire una storia sentimentale nel video. È un divertitissimo John Landis che in Thriller 40 racconta di aver spronato la star. “Voglio di più” gli disse. “Sei Michael Jackson e deve essere straordinario. Se non è fantastico a cosa serve essere Michael Jackson’”. E così il Re del Pop rientrò sul set e fece una ripresa perfetta. Le coreografie sono rimaste nella storia. Landis racconta di aver detto che il ballo doveva essere “spettrale” e di non aver voluto nessun passo tipico della danza di Jackson. Quella videocassetta vendette 6 milioni di copie.




Ma Thriller 40 è un documento prezioso perché prova ad entrare nel processo creativo di uno dei lavori più importanti della musica, e nell’anima di un artista unico. È emozionante sentire le prime demo di canzoni come Billie Jean e Beat It, molto scarne e con la voce di Michael Jackson in primo piano. Ma anche di ascoltare, in un audio di una vecchia intervista a Rolling Stone, la sua idea sulla scrittura. “Il processo di scrittura delle canzoni è molto difficile da spiegare perché è molto spirituale” racconta Jackson. “È come se scaturisse dalle mani di Dio. In realtà è come se le canzoni fossero state concepite prima: tu sei solo la fonte attraverso la quale sgorgano. È come se piovessero dal cielo”. L’artista, anche il più grande, è solo un tramite, allora. Un concetto che hanno espresso in tanti grandi del rock e del pop. E, da parte di Jacko, è anche un segno di umiltà.


Thriller 40 racconta anche alcuni aspetti più controversi della storia, come il tour. Michael Jackson voleva portare giustamente in concerto quel grande album, ma il padre non era d’accordo. Voleva che a risaltare fosse tutta la famiglia. E così la star andò sì in tournee ma come The Jacksons, in quello che diventò il Victory Tour. L’ironia è che non è stato mai fatto un vero e proprio tour dedicato all’album più venduto della storia: la scaletta era un mix di vecchi successi e di nuove canzoni, ma era per queste che il pubblico impazziva. Così come fu il padre a volere la sponsorizzazione della Pepsi, che Michael non avrebbe voluto. Lo fece, ancora una volta, per la famiglia, ma chiedendo, per contratto, di non tenere mai una lattina in mano e non apparire per più di 3 secondi negli spot. In uno di questi, purtroppo, avvenne un incidente, uno scoppio, che gli procurò ustioni al cuoio capelluto.



Le immagini del tour sono sorprendenti, singolari. È strano vedere in concerto la star assoluta dividere il palco con quei fratelli che ormai sono poco più che dei comprimari. Ma è tutto Thriller 40 a regalarci una serie di immagini preziose, mai viste, o che non si vedevano da tempo e non è facile trovare. Alcune sono in bassa definizione, altre, come quelle dei video, restaurate e brillanti. Tra le cose che non avevamo mai visto c’è uno show per i 25 anni della Motown, al Pasadena Civic Auditorium, che allora fece epoca, e che è uno spartiacque per la carriera di Michael Jackson. Che prima si esibisce con i fratelli, poi da solo, con Billie Jean, fa il moonwalk, e manda il pubblico in visibilio. È stata la performance che ha cambiato lo spazio e il tempo. Ma c’è una testimonianza che, più delle altre, ci fa capire cosa sia stato Jackson. Ce lo spiega Misty Copeland, prima ballerina dell’American Ballet Theatre. “Vedere un uomo nero in punta di piedi, senza capire qual era il trucco, ha fatto capire alle generazioni di neri, mulatti, bianchi, o di qualsiasi colore, che tutto è possibile. È una cosa più grande di quanto possiamo pienamente realizzare”. Sì, Michael Jackson è stato un vero game changer.

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